11 e 12 maggio 2024, in assaggio 150 sfumature di Lambrusco

Condividiamo un interessante evento che si terrà l’11 e il 12 maggio 2024 nel Complesso Monastico San Benedetto Po (MN). Si tratta di Lambrusco a Palazzo, rassegna ormai giunta alla nona edizione ed organizzata da ONAV Mantova e La Strada dei Vini e Sapori Mantovani.

Saranno 50 le cantine partecipanti e si potranno assaggiare oltre 150 etichette tutte a base di lambrusco, o meglio della vasta famiglia dei lambruschi, parliamo di vini frizzanti e spumanti prodotti nelle province di Modena, Reggio Emilia, Mantova e Parma.

Da non perdere, inoltre, la visita al complesso monastico ed in particolare alla Sala Capitolare del Polirone, appena restaurata.

Qualche informazione organizzativa:

Lambrusco a Palazzo, sabato 11 maggio dalle 15.00 alle 20.30 e domenica 12 maggio dalle 13.30 alle 20.00; Complesso Monastico San Benedetto Po (MN).

Ingresso all’evento da acquistare in loco al costo di 13 €, ingresso ridotto per soci ONAV, AIS, FISAR, FIS, ASPI, WSET (11 €).
Masterclass

sabato 11 maggio ore 16.00 (10 euro) Lambrusco ‘Il Metodo Classico’ a cura di ONAV.
domenica 12 maggio ore 16.00 (10 euro) ‘I vitigni autoctoni della Via Emilia’ a cura delle Donne del Vino Emilia Romagna.

Redazione

Facebook: @vinocondiviso
Instagram: @vinocondiviso

Tre giovani produttori al Vinitaly 2024

Anche quest’anno abbiamo partecipato al Vinitaly, la più grande fiera del vino italiano che riesce a coniugare opportunità di affari tra gli operatori del mondovino e occasioni di scoperta e assaggio per tutti i “semplici” appassionati.

Abbiamo deciso di dedicare del tempo non solo ai classici assaggi ed incontri mirati negli spazi espositivi, ma anche alla partecipazione ad alcuni eventi organizzati all’interno della manifestazione. Particolarmente interessante l’evento che abbiamo deciso di condividere in questo post, si tratta di Young to Young, l’ormai consueto momento di confronto tra giovani vignaioli e comunicatori del vino moderato da Paolo Massobrio e Marco Gatti.

Ecco chi abbiamo incontrato!

Bosco Longhino, azienda storica dell’Oltrepò oggi guidata da Massimiliano e Greta Faravelli, tra i primi a puntare con convinzione sul pinot nero Metodo Classico. Abbiamo assaggiato il Pinot Nero Pas Dosè “Casto” 2018. Dopo l’accurata selezione delle uve e la loro vinificazione in acciaio, il vino sosta per ben 50 mesi sui lieviti. Nel calice il vino si presenta con una bollicina finissima ed un corredo olfattivo intrigante: fruttini rossi, mela golden, un bel tocco minerale. Il sorso è potente, ampio e di volume ma non difetta in progressione e allungo, la verve acida conferisce eleganza e freschezza. Chiude sapido e di ottima lunghezza.

Tonello Vini, azienda dei Monti Lessini, un’interessante territorio caratterizzato da terreno vulcanico che si trova tra le province di Vicenza e Verona. L’azienda si dedica prevalentemente alle uve a bacca bianca durella e garganega. Diletta Tonello ha portato in degustazione il Lessini Durello Metodo Classico Extra Brut “Io Teti” 2019. Naso divertente con richiami di frutta gialla, anche esotica, agrumi, roccia, spezie in formazione. Bocca intensa, di impatto acido molto importante (come da DNA del vitigno impiegato, la durella), rinfrescante e pericolosamente “dissetante” per un vino che si beve con grande facilità grazie anche ad una gustosa chiusura salata.

Azienda Agricola Emanuele Gambino, operativa dal 2016 in quel di Costigliole D’Asti con vigne a cavallo tra Langhe e Monferrato. Abbiamo assaggiato il Mò Frem 2020, un moscato bianco vinificato secco e affinato in anfore di terracotta da 750 litri. Un bianco da uve aromatiche che però riesce a superare le note varietali più spinte del moscato, il vino risulta agrumato, quindi si percepiscono note di erbe aromatiche (rosmarino, salvia) e di fiori di campo, un leggerissimo tocco di miele d’acacia. Sorso morbido ma del tutto secco e con la giusta acidità in filigrana. Potente e sapida la chiusura.

Diego Mutarelli
Facebook: @vinocondiviso
Instagram: @vinocondiviso
WhatsApp: Canale WhatsApp

Vini di Vignaioli: 3 vini da ricordare

L’evento Vini di Vignaioli a cui abbiamo partecipato – come anticipato in un post di qualche settimana fa – è stata un’ottima occasione per fare il punto sullo stato di salute di quell’ampio e variegato mondo dei vini naturali / artigianali / bio-qualcosa. Insomma quel movimento, difficilmente incasellabile ma indiscutibilmente in crescita, di aziende agricole che considerano il produrre vino un’atto politico, ovvero un agire che ha implicazioni etiche e trasmette valori ben precisi: capacità di ascolto della natura, riduzione al minimo dell’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi in vigna, salvaguardia del territorio, approccio artigianale alla produzione…

A giudicare dalla partecipazione all’evento, lo stato di salute del movimento è senz’altro molto buono, le due ampie sale adibite agli assaggi erano gremite di appassionati e i produttori presenti ci sono sembrati soddisfatti. Sulla qualità degli assaggi naturalmente, come sempre accade negli eventi di questo genere, ce n’era per tutti i gusti: giovani produttori alle prime armi con vini non privi di imprecisioni tecniche, vini espressivi e gustosi, grandi vini e stuzzicanti novità da seguire in futuro. Insomma non ci siamo annoiati!

Di seguito condividiamo i tre assaggi che ci hanno colpito particolarmente:

Foradori: l’azienda sita in Mezzolombardo (TN) di Elisabetta Foradori non ha bisogno di presentazioni, biodinamica fin dal 2002 è l’alfiere del vitigno teroldego che ha portato alla fama nazionale ed internazionale grazie al Granato, vero e proprio vino icona. Abbiamo assaggiato la delicata, ma fitta ed intrigante Fontanasanta Nosiola 2018, il Granato 2021 e 2016 entrambi di grande impatto e prospettiva, ma ci ha rapito il Teroldego Sgarzon 2015, fermentato e affinato 8 mesi in anfore spagnole (tinajas) si esprime su dettagli aromatici di grande eleganza, tra ribes, arancia, fiori rossi e un che di terroso, il sorso è ficcante, di grande dinamica e dal saporitissimo finale salino.

Porta del Vento: ci troviamo a Camporeale (PA), è qui che Marco Sferlazzo ha creato nel 2006 Porta del Vento. Le vigne si trovano a circa 600 metri sul livello del mare, in prevalenza alberelli di catarratto e perricone. Tra i vini assaggiati ci hanno colpito favorevolmente il Porta del Vento Catarratto 2022 sapidissimo e lungo ed un convincente Perricone 2021, denso e materico, ma di ottima beva e progressione, tannico e stratificato.

Podere La Brigata: azienda che non conoscevamo, si trova in Abruzzo, a Pratola Peligna (AQ), soli 3 ettari vitati a montepulciano, trebbiano, malvasia, moscato e riesling. Non ci sono molte informazioni su questa azienda di recente costituzione, si presentano con umiltà: “Vini fieri da osteria alla portata di tutti”. Abbiamo trovato vini semplici e schietti, ma di grande finezza e pulizia, espressività e slancio. Mamba Nero 2021, da vigne vecchie di montepulciano, affinato solo in acciaio, è una versione agile di montepulciano, ma di grande armonia con sorso caratterizzato dal frutto vivace e dalla trama sapida. Pianatorre 2021 è un altro vino rosso da montepulciano questa volta affinato in legno, stratificato e gustoso, fitto e vitale. Insomma, due vini che ci hanno fatto scoprire una realtà che ci sembra molto promettente e che seguiremo con attenzione.

Diego Mutarelli
Facebook: @vinocondiviso
Instagram: @vinocondiviso
WhatsApp: Canale WhatsApp

Cesanese di Affile “Nemora” 2019 – Raimondo

Su queste pagine abbiamo già parlato in passato del Cesanese di Olevano Romano e del Cesanese del Piglio. Non avevamo mai riportato però un assaggio di un Cesanese di Affile ed oggi colmiamo la lacuna grazie ad un vino – ottenuto dal vitigno a bacca rossa cesanese di Affile (biotipo diverso dal cesanese comune) – dell’azienda Raimondo.

Cesanese di Affile Nemora 2019 – Raimondo

Raimondo alleva circa 4 ettari di vigna nel comune di Affile, in provincia di Roma. La leggenda vuole che il nome cesanese derivi dal territorio in cui veniva ricavato lo spazio per la vite, “caesae” è infatti un termine latino per indicare “luoghi dagli alberi tagliati”. La zona di Affile era infatti ricoperta di boschi (“nemora”, non a caso il nome del vino che abbiamo nel calice). Fortunatamente di boschi ne sono rimasti ancora ed incorniciano le parcelle coltivate dall’azienda.

Gli appezzamenti del Nemora si trovano tra i 450 e i 550 metri sul livello del mare con impianti piuttosto fitti, le uve sono colte a piena maturazione ad ottobre inoltrato. Dopo la vinificazione il vino sosta per circa 12 mesi in acciaio e in botti di legno da 500 litri.

Il vino si presenta in una luminosa veste rubino chiaro. Inizialmente l’olfatto è piuttosto reticente, dopo qualche secondo nel bicchiere ecco però che si dipana su note di fruttini rossi e neri (ribes, more), quindi note più austere di macchia mediterranea e bosco, come alloro, ginepro, resina, ma anche peonia e un che di terroso.

Il sorso è gustoso fin dall’ingresso, l’alcol (14%) è gestito alla perfezione. Grazie ad un’ottima freschezza che sostiene lo sviluppo, il vino risulta dinamico, sapido e dal tannino fine e fitto.

Chiude lungo su ritorni di ribes e spezie.

Plus: vino molto interessante dall’ottima beva ma per nulla semplice. Freschezza, eleganza e una certa stratificazione sono caratteristiche che possono mettere d’accordo molti appassionati. Il prezzo poi è particolarmente centrato (intorno ai 15 €).

Diego Mutarelli
Facebook: @vinocondiviso
Instagram: @vinocondiviso
WhatsApp: Canale WhatsApp

I più premiati fra i premiati

La rivista Civiltà del Bere, che quest’anno festeggia un importante anniversario, cinquanta anni di attività, annualmente estrapola dalle sei guide enologiche italiane (Vitae di AIS, Slow Wine, Doctor Wine, Bibenda, Veronelli e Gambero Rosso) i vini premiati che le accomunano; non stupiamoci se ogni anno ritroviamo vini blasonati, iconici, vini che hanno fatto la storia del vino italiano e ancora non smettono di farla, anche fuori dai confini nazionali.
Come ogni anno Civiltà del Bere ha organizzato a Milano una degustazione dal titolo “Simply the best” in cui erano presenti cantine pluripremiate dalle Guide e, non meno importante, dal cliente finale; parallelamente a questo evento, tenutosi il 25 marzo scorso, presso il Museo della Scienza e della Tecnologia, si sono organizzate due masterclass, condotte dal responsabile della rivista, Alessandro Torcoli, con protagonisti i 10 vini più premiati…fra i premiati.

Noi di Vinocondiviso abbiamo scelto di partecipare alla prima masterclass, ecco i cinque vini che abbiamo assaggiato:

  1. Valentini – Trebbiano d’Abruzzo DOC 2019; quando si parla di vini bianchi italiani destinati all’invecchiamento, il Trebbiano d’Abruzzo non è nei primi della lista, tranne che se affiancato dal cognome Valentini: qui si gioca un campionato a parte e anche fuori confine italico. Il vino assaggiato si presenta con un impatto aromatico intenso e complesso (fiori gialli di campo, cedro, mango, pinoli, cera d’api ) e un finale di bocca salmastro e lunghissimo; un vino che presenta ancora qualche spigolatura dovuta alla gioventù ma già di grande equilibrio e struttura.
  2. Tenuta San Guido – Sassicaia, Bolgheri Sassicaia DOC 2020; anno dopo anno (e ne sono passati più di sessanta, dal primo vino in commercio) le classiche note bordolesi risultano perfettamente integrate nella zona di Bolgheri, regalando balsamicità, eleganza, piacevolezza, finezza. Un vino che resta nell’Olimpo senza alcun indugio.
  3. Col d’Orcia – Poggio al Vento, Brunello di Montalcino Riserva DOCG 2016; da una singola vigna, da cui prende il nome, figlia di una scrupolosissima selezione massale, iniziata cinquanta anni fa Poggio al Vento viene prodotto sin dal 1982. Qui il tannino, rispetto al precedente assaggio, è assai più vigoroso ed energico, mentre le note aromatiche sono così numerose da rendere il vino un piccolo manualetto olfattivo: ribes, viola, foglia di tabacco, radice di zenzero, pepe nero, erbe aromatiche essiccate, olive nere, caramella all’eucalipto.
  4. Bertani – Amarone della Valpolicella Classico DOCG 2013; il terzo vino rosso in degustazione presenta a differenza dei primi due un colore rubino che già vira sul granato, con i suoi 96 mesi di affinamento in legno e una lunghissima sosta in bottiglia. Grande opulenza al naso (pot-pourri, ciliegia sotto spirito, curcuma, cioccolatino after-eight, liquerizia, funghi secchi) e altrettanta, se non maggiore, morbidezza e rotondità in bocca.
  5. Letrari – 976 Riserva del Fondatore, Trento DOC Riserva Brut 2012; si conclude con un metodo classico della cantina Letrari prodotto solo in annate particolarmente favorevoli, in questo caso il millesimo 2012, un anno dalla sboccatura, quindi 120 mesi sui lieviti, da un blend paritario di pinot nero e chardonnay. Lo spumante mantiene una discreta effervescenza alla vista, insieme alle classiche note di pasticceria, frutta gialla, mandorla, burro, erbe aromatiche ma, quello che sicuramente sorprende, è la grandissima freschezza che troviamo in bocca: un finale azzeccato per brindare all’altissima qualità dei vini premiati.

Alessandra Gianelli
Facebook: @alessandra.gianelli
Instagram: @alessandra.gianelli

Cornas a Cortona (parte 2)

Dopo aver parlato, nella prima parte di questo post, dell’edizione 2024 dell’evento Chianina e Syrah, in questa seconda parte racconto della masterclass dedicata ai vini di Cornas a cui ho partecipato.

La degustazione prevedeva sette diverse interpretazioni di Cornas dell’annata 2020, millesimo indiscutibilmente caldo e precoce, ma al tempo stesso incredibilmente equilibrato. Durante la masterclass i relatori hanno tenuto a specificare che i vini in assaggio potevano rappresentare sia un’unica vigna, sia un blend di diversi lieu-dit, perché la tradizione rodaniana fa esprimere il vino attraverso le sfumature di diverse vigne.


1) Franck Balthazar, Chaillot
Il nome del vino si rifà al lieu-dit di provenienza. Denso, centrato su un frutto scuro e dolce, la trama tannica è ben ordita e ho apprezzato l’accelerazione in bocca che ha scongiurato ogni banalità.
2) Mathieu Barret, Géniale Patronne
Blend di due lieu-dit e risultato di un lavoro biodinamico e avanguardista, che comprende macerazioni lunghe e assenza di legno. Raffinato e irriverente, sarebbe interessante portarlo a una cieca, poiché si esprime attraverso molte luci e poche ombre, sebbene dalla syrah ci si aspetti più ruvidità, un frutto molto scuro e note terragne come la grafite.
3) Cave de Tain, Nobles Rives
Tain è un villaggio ai piedi di Hermitage, e questa è una cantina sociale che ha messo in bottiglia un vino di tutto rispetto.
4) Maison Chapoutier, Les Arènes
Interessante assaggiare in batteria una maison de négoce. Quando visitai Chapoutier, fui colpita da un’impronta del legno molto profonda su quasi tutti i vini. A quanto pare le scelte stilistiche hanno totalmente cambiato direzione, poiché questo vino è stato realizzato in cemento.
5) A. Clape, Cornas
Clape è il re indiscusso della denominazione, fedele tradizionalista, il cui vino, a differenza di quello di Barret, si concede solo dopo almeno dieci anni di invecchiamento. Al naso emerge subito una nota pungente che evoca la resina, seguita da accenti di pepe, alloro e geranio. Finalmente riesco a individuare l’oliva nera, che fino a poco prima pensavo fosse il tratto distintivo di Cornas, ma che in effetti, nella degustazione dedicata alla denominazione, ho rilevato solo in questo vino. Il sorso è pieno, con un tannino tanto fitto quanto raffinato, ancora molto scalpitante, quasi da masticare per la sua tridimensionalità.
6) Jacques Lemenicier, Père Laurier
Proveniente dal lieu-dit Les Mazards, di cui – come il Clos St. Jacques in Borgogna – ogni produttore possiede una parte bassa, una mediana ed una alta della collina, attingendo quindi a suoli diversi. Il vino è fresco, persistente, tuttavia sovrastato da una suggestione di spezia dolce data dal legno.
7) Alain Voge, Les Vieilles Fontaines
Grande rivelazione della giornata, non solo per il piacere di aver conosciuto il managing director Lionel Fraisse. La Fontaine si trova in una posizione centrale nella denominazione, e la morfologia della collina si rivolge verso varie esposizioni. Questo vino possiede una finezza rara. Come primo sentore ho riconosciuto il mirtillo, ma dopo poco ho percepito qualcosa di familiare, che mescola la viola alla mora di gelso, un aroma che solitamente riconosco nei grandi vini della Côte-Rôtie.
Ho potuto scambiare due parole con Lionel al suo banchetto, circondato da altre espressioni di syrah di Cortona e del mondo. Qui presentava Les Chailles 2021, Les Vieilles Vignes 2021 (ovvero Les Fontaines assieme ad altre parcelle nelle annate in cui non esce come vigna singola), e Chapelle Saint Pierre 2021. Così si riconferma l’eccellenza qualitativa che contraddistingue questo domaine, tanto che non vedo l’ora di tornare a Cornas per poter fare una visita in cantina.

Spinta dalla curiosità e dalla sete, mi sono fatta guidare da Francesco Beligni, brillante e giovane braccio destro di Stefano Amerighi, per l’occasione hanno deciso di proporre altre bottiglie oltre a quelle della loro cantina. Questo dettaglio dice molto sulla mentalità aperta di queste persone, che assieme al talento è, a mio parere, la chiave del loro successo.
Tra i vini della denominazione di Saint Joseph, ho ritrovato Pierre Gonon, assieme ad altri esponenti delle nuove generazioni, come Jean François Malsert, Thomas et Cyprien, il Domaine de la Sarbèche. Per terminare la degustazione di Cornas ho assaggiato la 2019 di Cuchet-Beliando, vino estremamente balsamico. Non potevo poi lasciarmi sfuggire un assaggio dei vini di Amerighi, in particolare di Apice 2020 e La Serine 2020, che prende il nome da una specifica selezione massale tipica della Côte-Rôtie.

Per concludere, vorrei dare luce a due Syrah del Belpaese: La Monaca 2020, della Tenuta Sallier de la Tour, a Monreale, e Castore 2022 e Polluce 2021 e 2020, due bottiglie dell’azienda Vinciarelli Chiara, piccola gemma di Cortona.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Cornas a Cortona (parte 1)

L’edizione 2024 del festival Chianina e Syrah si è tenuta a Cortona dal 9 all’11 marzo. Ogni anno avviene in concomitanza con la fiera Prowein a Düsseldorf, per questo non ho mai potuto partecipare. Tuttavia quest’anno ho saltato l’evento fieristico, così non mi sono fatta sfuggire l’occasione di visitare il festival che celebra le eccellenze enogastronomiche della Valdichiana.

Ancora una volta Cortona si dimostra un faro di creatività e maestria, e la sua comunità dovrebbe ispirare i borghi circostanti, che purtroppo non sono ancora in grado di suscitare lo stesso interesse con iniziative originali, nonostante il loro ricco patrimonio storico, architettonico e paesaggistico (ogni riferimento a Montepulciano è puramente casuale).

Tra le varie giornate della manifestazione, ho scelto domenica 10, per poter assistere ad una masterclass sulla regione vitivinicola di Cornas: ultimo avamposto per la syrah scendendo lungo il fiume nella valle del Rodano settentrionale.

Al timone della lezione, veri maestri del settore, come Lionel Fraisse, del domaine Alain Voge, Giampaolo Gravina (tra i colpevoli della mia ossessione per la Borgogna), il talentuoso sommelier e fotografo Marcello Brunetti, e infine Stefano Amerighi, un amico così eclettico che nessun aggettivo sarebbe mai sufficiente a descriverlo pienamente.

Ma perché proprio Cornas? Cos’ha spinto Stefano e tutti questi professionisti a voler mettere in luce una piccola appellation che comprende appena 164 ettari e una cinquantina di imbottigliatori, i quali hanno iniziato a valorizzare queste terre granitiche solo dopo gli anni Sessanta del secolo scorso?

Ammetto che quando visitai la regione due anni fa, lasciai in secondo piano Cornas, dedicandole sì e no una mezza giornata. Logisticamente non era un punto di appoggio comodo, ed ero più attratta dalle espressioni di syrah più popolari, come Hermitage oppure Côte-Rôtie, due regioni più settentrionali, dalle quali Cornas dista mezz’ora e un’ora di macchina.

Avevo sentito parlare del tipico sentore di oliva in questa regione calda, e temevo di ritrovare una certa opulenza rispetto all’eleganza. Questo è un pregiudizio sbagliato, e l’ho intuito raggiungendo la sommità della collina: nonostante la terra sia calda e siccitosa, l’altitudine raggiunge i 400 metri di altezza, con un dislivello di 300 metri (Hermitage, anch’essa molto ventosa, si sviluppa su circa 300 metri di altezza, mentre le viti sulla Côte-Rôtie crescono dai 180 ai 325 m.s.l.m.).

Quali potrebbero essere dunque le ragioni che hanno suscitato il fascino di questo promontorio? Di certo l’altitudine, oppure l’omogeneità delle condizioni pedoclimatiche, o ancora la circoscrizione limitata dell’area vinicola. Non solo: così come la syrah è l’unico vitigno ammesso per produrre l’AOC Cornas, allo stesso modo il granito è la sola matrice geologica del territorio. Tutto ciò comporta una chiave di lettura del vino coerente, garantendo agli appassionati una certa riconoscibilità.

Ma non è tutto. Ciò che rende speciale Cornas è la sua comunità, composta da produttori che hanno assecondato una delle esigenze umane più distintive: interpretare. Si sono armati di raspi, carrucole, barrique per essere tradizionalisti e cemento per essere progressisti. Teloni di plastica sulla vigna come se fosse un orto per contenere l’umidità, e vasche a forma di diamante. Hanno unito diverse parcelle in un unico vino, oppure le hanno lasciate distinte, non perché un’annata fosse peggiore di un’altra, ma perché l’identità del territorio in un vino si rifà banalmente a chi quel luogo lo custodisce.

Il post prosegue con il racconto dei 7 Cornas che ho assaggiato. Verrà pubblicato tra qualche giorno, non perdertelo! Leggi qui la seconda parte.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi

Esiste anche lo Châteauneuf-du-Pape bianco!

La più antica denominazione di vino francese, nata nel 19361, lo Châteauneuf-du-Pape, è famosa in tutto il mondo grazie al suo vino rosso, per la cui produzione sono ammessi in assemblaggio ben tredici vitigni.

Come riporta orgogliosamente il sito ufficiale, infatti “a Châteauneuf-du-Pape, la tradizione vuole che i vini (rossi, ndr) siano ottenuti da tredici vitigni2, ognuno dei quali apporta all’insieme la sua caratteristica: colore, struttura, aroma, freschezza o longevità” … , basse rese e rigorosamente vendemmia manuale.

La quasi totalità della produzione è di vino rosso (93%) ma resta salda la tradizione di vinificare anche uve a bacca bianca per dare vita allo Châteauneuf-du-Pape bianco.

Noi di Vinocondiviso abbiamo assaggiato il Clos de l’Oratorie des Papes Châteauneuf-du-Pape 2018 bianco della maison Ogier, ottenuto dalle quattro uve bianche: grenache blanc, bouboulenc, clairette, roussanne; la vinificazione avviene per l’80% in tini senza malolattica e il restante in botti nuove da 300 litri, mentre l’affinamento, che dura sei mesi, continua nelle barrique per il 20% della massa, mentre l’80% passa in vasche di cemento.

È un vino tutto giocato sull’opulenza e sull’avvolgenza, senza una particolare spinta su sapidità e mineralità; al naso troviamo classiche note boisé, burro salato, fico, mais tostato e un bel rimando alla buccia di cedro che ritroviamo anche in bocca, capace di conferire un tocco di freschezza in un quadro di generale morbidezza.

Abbinato ad una sogliola alla mugnaia ed è subito revival anni 80!

Alessandra Gianelli
Facebook: @alessandra.gianelli
Instagram: @alessandra.gianelli

  1. a questo link è possibile scaricare la scansione del decreto originale ↩︎
  2. Ecco i tredici vitigni: grenache (noir, gris, blanc), syrah, mourvèdre, cinsault, clairette (blanche, rose), vaccarèse, bourboulenc, roussanne, counoise, muscardin, picpoul (blanc, gris, noir), picardan, et terret noir. Come vediamo sono in realtà 18, considerando separatamente le varietà grenache, clairette e picpoul! ↩︎

Vini di Vignaioli 2024, 17 e 18 marzo 2024

Sei amante dei vini artigianali e naturali? Allora blocca l’agenda il 17 e il 18 marzo 2024, arriva infatti a Milano Vini di Vignaioli, la storica fiera di Fornovo di Taro.

Sarà l’occasione per parlare di persona con molti produttori, assaggiare i loro vini e, perché no, fare scorta delle bottiglie di nostro gradimento.

L’elenco dei produttori presenti è disponibile a questo link.

Noi ci saremo e, come sempre, vi racconteremo i nostri migliori assaggi.

E voi, ci sarete?

Tutte le informazioni relative all’acquisto dei biglietti, sulla location e i dettagli organizzativi li trovi sul sito web Vini di Vignaioli.

Diego Mutarelli
Facebook: @vinocondiviso
Instagram: @vinocondiviso
WhatsApp: Canale WhatsApp

Chianti Classico è futuro (parte 2)

Dopo l’introduzione all’evento Chianti Classico Collection di cui ho parlato nella prima parte, mi piacerebbe ora condividere quelli che sono a mio avviso alcuni degli assaggi più stimolanti.

Come Chianti Classico annata, tra i miei preferiti ritrovo I Fabbri, che negli ultimi anni ha affilato con gentilezza le espressioni più vibranti di Lamole. Della stessa tipologia devo nominare Riecine, il cui frutto scuro rappresenta ormai la firma stilistica dell’azienda. Anche il Chianti Classico di Tregole è stato in grado di esprimere l’annata in maniera esemplare, rispettando il terroir peculiare di Castellina che volge lo sguardo verso Radda.

Nella tipologia Riserva sono rimasta ancora una volta colpita da Vigna Barbischio di Maurizio Alongi, la sua persistenza è durata il tempo di attraversare tutto il corridoio della Leopolda senza perdere gusto. Come non rimanere incantati dalla Riserva di Castell’in Villa, che con la 2016 ha raggiunto picchi di eccellenza assoluta nella fattura del tannino e nella piacevolezza in bocca. Ci auguriamo che il tempo sia altrettanto benevolo nell’affinamento di una 2017 ancora molto giovane. Per chi apprezza i vini eleganti ma pur sempre tridimensionali, consiglio la Riserva di Nardi Viticoltori.

Come Gran Selezione vorrei soffermarmi su Istine, nell’annata 2021 i tre cru hanno affinato più a lungo in botte e in bottiglia per essere presentati per la prima volta come Gran Selezione. Una raffinatezza fatta di piccole sfumature che negli aromi ricordano fiori e frutti freschi, come se fossero stati colti appena maturi. Monteraponi presenta con l’annata 2019 per la prima volta una Gran Selezione che, assieme al Baron’Ugo 2020, incarna l’essenza di Radda attraverso l’eleganza e la coerenza di un frutto rosso mai timido, accompagnato da note floreali come la viola sempre riconoscibili (in poche parole, non sono poi tanto diversi i due vini).

Rimango anche piacevolmente stupita da Cigliano di Sopra, sia nella versione annata che Riserva. L’esuberanza di questi vini, dovuta a particolari tecniche agronomiche e di cantina, risulta totalmente diversa rispetto ad altre espressioni molto buone di San Casciano, e ciò mi fa domandare se siano loro a discostarsi totalmente da questa UGA, o se in realtà siano gli unici ad essere stati in grado di interpretarla in maniera esemplare.

Infine, tra i vini di maggior carattere devo segnalare Le Viti di Livio 2016 di Fattoria di Lamole e Sa’etta 2022 di Monte Bernardi, vini autentici, schietti, sempre indimenticabili.

Meriterebbe che elencassi tanti altri vini che mi hanno catturato il cuore, ma non vorrei essere troppo di parte, poiché considero questo territorio come una tra le più promettenti regioni vitivinicole in Italia e nel mondo, con un passato antichissimo, ma allo stesso tempo alle porte del suo rinascimento. Ho trascorso in Chianti Classico due anni indimenticabili, fatti di opportunità e crescita personale e professionale. Nonostante questo capitolo della mia vita si sia appena concluso, ho la consapevolezza che la comunità creata negli ultimi anni, che ho visto nascere in un viaggio in Corea del Sud e della quale sono orgogliosa di averne fatto parte, porterà un’aria fresca di rinnovamento alla denominazione, e auguro al futuro del mondo del vino italiano di essere in grado di attingere allo spirito di unione e condivisione che ho ritrovato in queste terre boschive.

Elena Zanasi
Instagram: @ele_zanasi